RIFLESSIONI SUL FONDO RISCHI E SUL FONDO RISERVA SINISTRI PREVISTI NELLA BOZZA DEL DECRETO ATTUATIVO ALLA LEGGE 24/17
Siamo ormai prossimi a raggiungere il traguardo non troppo lusinghiero dei cinque anni dalla emanazione della legge 24/17 ed ancora, alla data nella quale stiamo scrivendo, il decreto in materia assicurativa, attuativo della stessa, non è stato emanato. Sappiamo che in data 9 febbraio u.s. una ulteriore ultima bozza del decreto – gradita al Governo – ha conseguito anche l’approvazione della Conferenza Stato/Regioni.
Possiamo quindi convenire che allo stato la legge 24/17 relativamente all’obbligo assicurativo è ancora una specie di “anatra zoppa” che, se pur non starnazza, non è ancora in grado di incidere efficacemente nell’area della responsabilità medica.
È il prezzo che spesso si paga al processo democratico che nel suo iter non può non tener conto della coesistenza della definizione di altre esigenze ritenute prioritarie e soprattutto dei diversi e spesso contrapposti interessi in gioco. Certamente la gestazione di questo decreto appare lunga e travagliata proprio per gli interessi spesso contrapposti che esso deve considerare e conciliare. A parte la superiore tutela dei cittadini, è evidente l’interesse delle categorie professionali sanitarie ad orientare il contenuto della norma nella maniera più aderente alle loro istanze. Ma anche l’ANIA – l’Associazione delle Compagnie di Assicurazione – deve tutelare la posizione delle Imprese associate in un contesto caratterizzato da una evidente distonia; ci riferiamo alla prescrizione dell’obbligo di assicurazione in capo al mondo sanitario al quale non fa riscontro un parallelo obbligo di sottoscrizione di polizze di RC Sanitaria da parte degli Assicuratori. Questa evidente anomalia, che non si è voluto o potuto evitare in contrasto con quanto previsto per la assicurazione della RCA, ha probabilmente suggerito al legislatore di non rimanere sordo alle istanze degli Assicuratori.
LA LEGGE 24/17 E LA GRADUAZIONE DELLE TUTELE CONNESSE ALLA EROGAZIONE DELLE PRESTAZIONI SANITARIE
Per altro, l’architettura della legge 24/17 esprime una consequenzialità logica della quale il suo titolo – “Sicurezza nelle Cure” rappresenta sinteticamente i diversi livelli di tutela che si è inteso riconoscere nel contesto del diritto fondamentale del cittadino alla sua integrità fisica. Il 2° comma dell’articolo 1 della legge conferma infatti che “la sicurezza delle cure si realizza mediante l’insieme di tutte le attività finalizzate alla prevenzione gestione del rischio connesso all’erogazione di prestazioni sanitarie etc…”.
La legge appare quindi concettualmente strutturata in diverse sezioni, ciascuna finalizzata a conseguire obbiettivi/tutela di diverso livello attinenti alla comune matrice della Gestione del Rischio. In primo luogo, la norma affronta il tema centrale: la Prevenzione in quanto attività deputata ad intervenire sui rischi al fine di mitigarne gli effetti in termini di severità e frequenza e conseguentemente garantire la miglior possibile sicurezza delle cure. Subito dopo viene normata l’area della Responsabilità nell’intento di agevolare il processo di individuazione delle responsabilità, sempre nell’ottica della tutela del paziente. Infine, la norma intende far certo il ristoro del danno subìto dal paziente – nel caso in cui il sistema non sia stato capace di garantire la sicurezza delle cure – tramite il supporto assicurativo obbligatorio.
La legge ci dice quindi che, non essendo conseguibile nella pratica un’assoluta sicurezza nelle cure, è necessario generare, nel caso di evento dannoso, la miglior certezza riguardo l’individuazione delle responsabilità e l’effettivo ristoro del danno. Questo ultimo obbiettivo, la certezza del risarcimento, si ottiene tramite l’introduzione della obbligatorietà della assicurazione della Responsabilità Professionale Sanitaria; certezza garantita dal sistema di sorveglianza sulle Imprese di assicurazione esercitata dall’Organo di controllo IVASS sia dal punto di vista tecnico che finanziario/patrimoniale.
Il sistema, fin qui, sembra ottimamente pensato ed ancor meglio realizzato per conseguire gli scopi multipli che il legislatore si era prefissato.
I REQUISITI MINIMI DI GARANZIA IN CASO DI ADOZIONE DELLE “ANALOGHE MISURE”
Tuttavia, la norma stessa, nel decretare l’obbligo di assicurazione, contemporaneamente ne prevede una deroga non affatto marginale. Il primo capoverso dell’art. 10 stabilisce infatti che “le strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private devono essere provviste di copertura assicurativa o altre analoghe misure per la responsabilità civile verso terzi e per la responsabilità civile verso prestatori d’opera etc.…”. È utile ricordare che l’accesso alle analoghe misure è riservata esclusivamente alle strutture non riguardando invece altre figure di operatori sanitari.
Non è questa l’occasione per indagare sulle motivazioni che hanno indotto il legislatore ad introdurre questa significativa deroga al sistema obbligatorio.
Ci limitiamo a ricordare che due sono le correnti di pensiero che hanno tentato di individuare la motivazione alla base di tale scelta; una, di carattere tattico, ritiene che la introduzione della deroga trovi motivazione nella contingenza del momento caratterizzata da un’offerta assicurativa nell’area della RC sanitaria modesta e comunque altamente selettiva. Potremmo prendere in prestito il detto: “ad impossibilita nemo tenetur”; ovvero ancor meglio probabilmente ci si è chiesto: come si può imporre a qualcuno l’adempimento di una obbligazione che dipende essenzialmente anche dalla volontà di un terzo? Secondo l’altra ipotesi (che indicherei come strategica e di più “ampio respiro”) si ritiene che l’opzione del ricorso ad altre analoghe misure sia stata ben ponderata in una visione prospettica di lungo periodo finalizzata alla creazione di un nuovo sistema virtuoso ove le professioni sanitarie dovranno assumere piena consapevolezza dei propri rischi, intervenire sugli stessi ed infine farsi carico della gestione autonoma dei danni relativi ai rischi ritenuti e del monitoraggio di quelli trasferiti a terzi (gli Assicuratori).
Ci piace credere che questa seconda motivazione sia quella che ha determinato la previsione delle “analoghe misure”. In ogni caso osserviamo che nella pratica molte – forse tutte – le Strutture sanitarie la stanno adottando, in parte o integralmente. In via di principio plaudiamo su questa scelta anche se osserviamo che non sempre essa trova sostegno e conforto in una organizzazione tecnico/professionale adeguata e garante del risultato richiesto in termini di equità, tempestività e accuratezza nell’intero processo di liquidazione dei danni.
Il legislatore non ha sottovalutato queste insidie, presenti essenzialmente nel periodo di avviamento che auspichiamo di breve durata, riservando alla questione il Titolo III del Decreto attuativo (ci riferiamo ovviamente al testo ancora in bozza) “Requisiti minimi di garanzia e condizioni di operatività delle misure analoghe”.
Il legislatore, consapevole del fatto che l’adozione di “altre misure analoghe” con rinuncia parziale o totale alla stipula di una polizza di Responsabilità Civile, avrebbe generato un potenziale deficit di sicurezza circa l’effettivo ristoro del danno subito dal paziente – venendo a mancare l’azione di controllo da parte di IVASS in assenza di un Assicuratore – ha prescritto una serie di incombenze a carico delle Strutture che abbiano deciso di adottare la soluzione delle “altre analoghe misure”.
Per altro il decreto in corso di approvazione poco aggiunge a quanto previsto dalle norme in vigore circa la formazione dei bilanci in aziende pubbliche o private, avendo una finalità confirmatoria circa alcune specificità della loro applicazione.
In verità, semplificando, il termine “misure analoghe all’assicurazione” non può essere definito che come “non assicurazione” ovvero, con una sorta di ossimoro, come “autoassicurazione”. La Struttura che decide di ritenere i propri rischi – in parte o integralmente – si fa “assicuratore di sé stesso”.
Conseguentemente le si deve richiedere di comportarsi nella gestione dei propri rischi al pari di un Assicuratore. La questione è trattata all’art. 14 della bozza di decreto “Funzioni per il governo del rischio e valutazione dei sinistri” nel quale – comma 1 – vengono indicate le competenze professionali idonee a tal fine. Notiamo, incidentalmente, che queste figure coincidono con quelle previste dai comitati di valutazione sinistri da tempo costituiti presso le Strutture Sanitarie.
Al comma 2 del medesimo articolo si aggiunge che per la stima dei Fondi, di cui ai precedenti articoli 9 – 10 – 10 bis – e 11, potranno essere richieste particolari conoscenze e l’utilizzo di tecniche probabilistiche attuariali ed idonee esperienze
E questo ci introduce al tema dei Fondi, oggetto di questa nota, strumenti di garanzia per il danneggiato circa la capacità patrimoniale della Struttura di far fronte ai propri impegni mei suoi confronti.
I Fondi previsti dalla norma sono due, di diversa funzione ma deputati alla medesima finalità, e comunque collegati da una sorta di processo osmotico come bene chiarisce l’art. 10 bis.
In termini generali noi riteniamo che la struttura che ha adottato la formula della ritenzione dei rischi debba ispirarsi nella costituzione dei Fondi a quanto prescritto all’art. 23 bis -titolo III del Regolamento IVASS n.22 del 4/4/2008 che detta le norme relative alle riserve Tecniche Rami Danni.
IL FONDO RISCHI
L’articolo 9 stabilisce – 1° comma – la costituzione del Fondo Rischi “a copertura dei rischi individuabili al termine dell’esercizio e che possono dar luogo a richieste di risarcimento a carico della struttura”. Questo comma 1°, a nostro parere, è suscettibile di generare almeno due diverse interpretazioni.
Da una parte può essere valutato come una somma da appostare nel bilancio a copertura delle richieste di risarcimento – basate su una stima – riferite ad eventi accaduti nell’esercizio in corso ma che saranno ricevute soltanto successivamente al termine dell’esercizio di competenza.
Questa interpretazione, tuttavia, comporterebbe il ritorno – almeno riguardo i rischi ritenuti dalla struttura – al regime temporale Loss Occurrence per il quale il sinistro è costituito dall’evento dannoso e non dalla richiesta di risarcimento. Per conto nostro noi dissentiamo da questa interpretazione, soprattutto perché questa assegnerebbe al Fondo Rischi una funzione di garanzia più limitata di quanto richiesto circa la solidità finanziaria delle strutture sanitarie.
Per altro il comma 2 dell’art. 9 non aiuta a far chiarezza quando in maniera per noi abbastanza criptica stabilisce che l’importo accantonato “tiene conto della tipologia e della quantità delle prestazioni erogate e delle dimensioni della struttura ed è sufficiente a far fronte, nel continuo, al costo atteso per i rischi in corso al termine dell’esercizio”.
Noi pensiamo che il legislatore, nella previsione del Fondo Rischi, si sia ispirato alla Riserva Premi prevista nel bilancio di una Impresa di Assicurazioni e regolamentata all’art. 37 del Codice delle Assicurazioni Private. Questa Riserva Premi contribuisce insieme alla Riserva Sinistri alla costituzione delle Riserve Tecniche, le somme accantonate a copertura degli impegni attuali e futuri assunti dall’Assicuratore nei confronti dei suoi clienti.
Quindi nell’industria assicurativa – e conseguentemente nel bilancio di una compagnia di assicurazione – la riserva premi è riferita a quella parte dei premi che, pur guadagnati nell’esercizio in corso, riguardano polizze/rischi che si proietteranno in parte anche nell’esercizio successivo.
Proprio a copertura dei rischi potenziali ai quali l’assicuratore sarà esposto nell’anno successivo lo stesso è obbligato a “mettere da parte” una porzione del premio guadagnato nell’esercizio precedente appostando, con la formula “pro rata temporis” la Riserva Premi. In tal modo si tutela indirettamente il terzo assicurato garantendo la stesura di un bilancio pienamente rispondente alla realtà.
Simile a quella della Riserva Premi è la ratio del Fondo Rischi ma non identica e speculare è la sua impostazione. La prima differenza sta nel fatto che il Fondo Rischi non dovrebbe entrare nel bilancio consuntivo della struttura sanitaria, bensì nel bilancio preventivo. In sostanza la Struttura sanitaria nella composizione del suo bilancio annuale preventivo dovrebbe includere tra le voci passive anche una posta relativa al valore delle richieste di risarcimento attese, calcolate in base ad una serie di parametri storici obbiettivi e valutazioni tecnico/attuariali.
In sostanza il Fondo Rischi nella nostra interpretazione dovrebbe essere calcolato seguendo le medesime modalità utilizzate dagli Assicuratori nella determinazione del Premio di equilibrio adeguato al Rischio da coprire. In altre parole, la Struttura è chiamata a “tariffare i suoi rischi”, a dare loro un valore economico equivalente a c.d. Premio Puro, a sua volta calcolato sulla base della sinistrosità attesa.
La seconda differenza tra Fondo Rischi e Riserva Premi sta nella loro diversa esposizione temporale. Mentre l’Impresa di Assicurazione misura la Riserva Premi ovviamente sulla base degli impegni assunti nell’esercizio in corso che si proietteranno in quello successivo, la Struttura Sanitaria dovrà tener conto nell’appostazione della Riserva Rischi dell’esercizio intero, periodo nel quale eserciterà la sua attività e conseguentemente correrà i suoi rischi.
Noi riteniamo che soltanto questa visione del Fondo Rischi risulta coerente all’impianto generale della legge orientata alla tutela dell’interesse dei danneggiati tramite interventi diretti ed anche indiretti.
Quanto poi alle modalità ed agli strumenti utilizzabili per l’appostazione del Fondo Rischi noi riteniamo che la dizione adottata dal comma 2 dell’articolo 9 sia quantomeno semplicistica.
In primo luogo, la Riserva Rischi deve essere ovviamente calcolata in maniera globale sulla base di una serie di valori finanziari obbiettivi e quelli stimati. i valori obbiettivi sono quelli storici relativi agli eventi dannosi effettivamente verificatosi sia in termini di frequenza che di severità, I valori stimati riguardano la valutazione del grado di esposizione futura ai rischi della struttura concepita in relazione alle modificazioni interne (variazione della tipologia di attività/specializzazione; adozione di nuove tecnologie; effetti degli interventi di Prevenzione) ed esterne (modifiche legislative, nuove tendenze sociali), capaci di incidere sul trend storico. Si tratta quindi di stabilire una sorta di premio di assicurazione sulla base degli stessi elementi adottati normalmente da un assicuratore.
Mutuando la tecnica assicurativa potremmo tentare di assimilare questa operazione di ritenzione dei rischi alla soluzione adottata da grandi gruppi industriali, denominata “Captive”; Una operazione di Captive, in estrema sintesi, diventa conveniente per un gruppo industriale quando la consapevolezza del trend dei propri rischi, incidendo sulla loro aleatorietà, consiglia la loro ritenzione con la contemporanea creazione di una provvista finanziaria affidata di norma ad una Società captive di riassicurazione controllata dal medesimo gruppo industriale.
FONDI RISERVA SINISTRI
L’articolo 10 della bozza di decreto stabilisce che:” in aggiunta a quanto richiesto dall’articolo 9, la Struttura costituisce un Fondo messa a riserva per competenza dei risarcimenti relativi ai sinistri che comprende l’ammontare complessivo delle somme necessarie per far fronte alle richieste di risarcimento presentate nel corso dell’esercizio o nel corso di quelli precedenti, relative a sinistri denunciati e non ancora pagati e relative spese di liquidazione”.
Mentre nel precedente articolo la norma prende in considerazione gli eventi dannosi ancora non conclamati, che tuttavia in base ad evidenze obbiettive hanno la probabilità di verificarsi, in questo articolo 10 il tema riguarda le richieste di risarcimento ricevute ed ancora non definite e riferite a tutte le generazioni (sia quella in corso che le precedenti.
In questo caso nessun dubbio nessun dubbio emerge circa il fatto che tale Fondo replica nella sostanza la Riserva sinistri che un’impresa di assicurazione, autorizzata all’esercizio dei rami Danni, deve costituire alla fine di ogni esercizio in relazione ai sinistri ancora non definiti, avvenuti nell’anno ed anche in quelli precedenti. Il citato art. 23 bis del Regolamento IVASS, infatti, recita in questo modo: “la riserva sinistri comprende l’ammontare complessivo delle somme che, da una prudente valutazione effettuata in base ad elementi obbiettivi, risultino necessarie per far fronte al pagamento dei sinistri avvenuti nell’esercizio stesso o in quelli precedenti, e non ancora pagati, nonché alle relative spese di liquidazione. La riserva sinistri è valutata in misura pari al costo ultimo, per tener conto di tutti i futuri oneri prevedibili, sulla base di dati storici e prospettici affidabili e comunque delle caratteristiche specifiche dell’impresa. La riserva per i sinistri avvenuti, ma non ancora denunciati alla data di chiusura dell’esercizio, è valutata tenendo conto della natura dei rischi a cui si riferisce ai fini dei relativi metodi di valutazione.”
Il testo riprende in maniera puntuale quanto già previsto dal Codice delle Assicurazioni all’art. 37, comma 5 e 6. La lettura comparata delle due norme mostra quindi una loro quasi totale coincidenza formale, scaturita dalla medesima ratio sulla quale esse si basano; coincidenza non intaccata da alcune precisazioni presenti nel testo IVASS, sulle quali sarà utile soffermarsi in seguito.
La costituzione del Fondo Riserva Sinistri, per tanto, deve quindi garantire che la Struttura Sanitaria abbia effettivamente accantonato le somme adeguate a tener fede ai suoi impegni nei confronti di coloro che, in quanto danneggiati, hanno presentato una richiesta di risarcimento, sia in forma giudiziaria che stragiudiziale.
La questione si sposta, confermata la finalità di tutela del danneggiato, sulle modalità di costituzione del Fondo che consentano la effettiva sussistenza di un’adeguata garanzia nei confronti dei richiedenti tramite la capacità finanziaria della Struttura espressa e motivata nel Bilancio Aziendale.
Tali modalità non possono distanziarsi da quelle adottate dalle imprese di assicurazione proprio in quanto i due istituti – il Fondo Riserva Sinistri delle strutture che abbiano adottato la ritenzione del rischio e la Riserva Sinistri degli assicuratori – assolvono alla medesima esigenza di sicurezza.
Ora accenniamo quindi alle tecniche utilizzabili per la formazione del Fondo Riserva sinistri aderente allo scopo.
In primo luogo, la valutazione deve fondarsi sulla regola fondamentale della “Prudenziale Previsione” in obbedienza ai principi generali della contabilità.
I metodi di valutazione che la Struttura può utilizzare possono essere: a) il metodo analitico, quello che si basa sulla analisi tecnica dei fascicoli relativi ai singoli danni ancora aperti; in questo caso il “dominus” è il liquidatore – interno o esterno – eventualmente supportato dal medico legale b) il metodo forfettario, quello che, in presenza di un trend sinistri stabile, calcola la somma necessaria da accantonare (una sorta del c.d. Premio Puro) a fronte dei danni accaduti; in questo caso il compito spetta ad un team composto dal liquidatore e dal responsabile contabile; c) il metodo sintetico, quello basato su procedimenti statistico/attuariali che fondandosi sui dati storici aggregati li proietta nel futuro utilizzando una serie di modelli esterni ed interni alla Struttura.
Nel Metodo sintetico Il modello di maggior attendibilità è quello della c.d. Triangolazione attraverso il quale l’attuario costruisce le serie storiche delle “generazioni di sinistri” relative a diversi fattori: il numero dei danni, il costo dei sinistri di una generazione, il costo medio di una generazione. La rappresentazione dell’evoluzione di questi fattori in ogni singola generazione (anno delle richieste danni/annualità di accadimento del sinistro) costituisce l’elemento informativo di base sul quale l’attuario procede ad effettuare ogni valutazione finalizzata a determinare l’ipotesi finale del Fondo Riserva Sinistri in forma aggregata.
Ne deriva che l’utilizzo del metodo analitico in principio non esclude l’utilizzo del metodo sintetico come strumento di conferma e/o di perfezionamento del dato base. La Struttura, per un maggior conforto circa la correttezza della sua valutazione può effettuare anche un esercizio di comparazione con dati riguardati l’intero mercato ovvero strutture simili per profilo di rischio (per esempio il dato relativo ai costi medi).
L’utilizzo di metodologie statistico/attuariali risulta particolarmente indicata per i sinistri a lenta definizione, come si dimostrano quelli della Responsabilità civile sanitaria, Per tali danni si dovrebbe inoltre considerare il calcolo della “riserva a costo ultimo”, una formula secondo la quale è necessario considerare tutti i futuri prevedibili costi aggiuntivi in termini finanziari, attinenti al costo dei risarcimenti ed alle relative spese di difesa.
Pari processo è utilizzabile per la valutazione delle spese di difesa, intese come spese legali e peritali. In presenza di un’affidabile serie storica il metodo forfettario risulta eligibile.
Rimane una nostra personale perplessità circa l’applicabilità della norma relativa ai danni tardivi (i danni accaduti nell’esercizio ma denunciati in quello successivo in data anteriore al consolidamento del bilancio: c.d. IBNR: incurred but not registered) al sistema temporale adottato del Claims Made per il quale il sinistro si identifica con la richiesta di risarcimento e non con l’evento dannoso. Il tema sarà senz’altro oggetto di dotte e argomentate dialettiche dalle quali per ora preferiamo rimanere estranei. La miglior soluzione certamente dovrà essere quella che garantirà al meglio l’adeguatezza del Fondo al compito che gli è stato affidato. Certamente non possiamo trascurare il fatto che ormai dall’anno 2000 la classificazione dei sinistri non avviene più per anno di denuncia ma per anno di accadimento.
In ogni caso la riserva per gli eventi accaduti ma ancora non denunciati non può ovviamente che fondarsi che sulla base di dati storici relativi alla loro frequenza – il numero dei danni – ed alla loro severità – il costo medio.
Il calcolo della Riserva Sinistri, trattandosi di una posta valutativa, nella pratica, può essere calcolata tenendo conto di esigenze anche non coincidenti con quelle sulla base delle quali la norma l’ha prescritta. Ad esempio, trattandosi di un debito, mentre una compagnia di assicurazione con un’ottima salute economico/patrimoniale potrà effettuare una valutazione particolarmente prudenziale al fine di contenere l’utile e quindi contenere e procrastinare la relativa tassazione, al contrario l’impresa con un conto economico meno brillante potrà fare una previsione sulla Riserva Sinistri più ottimistica al fine di migliorare il
proprio risultato nell’interesse degli azionisti e della sua valutazione presso i mercati finanziari. Tutto ciò, ovviamente entro i limiti previsti dalla legge e comunque ratificati dagli organi amministrativi e di controllo.
Anche una struttura sanitaria, aggiungerei soprattutto di carattere privato, potrebbe essere sensibile e quindi considerare queste esigenze, in relazione alla sua specifica situazione del momento. Riguardo le Imprese di assicurazione, per altro, esistono indicatori specifici che in prima approssimazione testimoniano la adeguatezza delle Riserve tecniche (Riserva Premi e Riserva Sinistri) in supporto al margine di solvibilità. Un indicatore in particolare risulta immediatamente significativo: il rapporto tra l’ammontare delle riserve tecniche e l’ammontare dei Premi acquisiti. In termini molto generali (la piena congruità dell’indice alla situazione aziendale deve essere infatti oggetto di specifica valutazione in quanto condizionata da una serie di fattori variabili) il rapporto minimo dovrebbe attestarsi tra il 130% ed il 160%.
Analogo strumento non è invece previsto per una valutazione critica dell’adeguatezza dei Fondi Rischi e Riserva sinistri di una struttura sanitaria (una ipotesi potrebbe essere quella di una verifica tramite il rapporto tra il Fondo Rischi ed il Fondi riserva Sinistri).
Una questione, certamente non marginale è quella che riguarda la presunta incompatibilità tra i principi adottabili per la valutazione del Fondo Riserva Sinistri e quelli adottati per la iscrizione nel “Fondo Rischi e Passività” del bilancio civilistico. Sì è ripartita la casistica in tre diverse tipologie: le passività probabili, quelle possibili e quelle remote. Soltanto le passività probabili dovrebbero confluire nel Fondo mentre per quelle probabili ci si limiterebbe alla annotazione nella Nota Integrativa e infine non si terrebbe alcuna considerazione di quelle Remote.
A nostro parere si tratta di un falso problema.
In un primo livello – quello della riserva analitica – spetta al tecnico/liquidatore stabilire in quale categoria collocare il danno sulla base della valutazione dell’“AN” (esiste la probabilità di essere ritenuti responsabili?) e del “Quantum” (quanto ci costerà questo danno?). La risposta negativa ad ambedue i quesiti suggerisce al liquidatore di collocare il danno tra quelli c.d. “senza seguito”; pertanto quel danno, quando arriverà il momento di valutare il Fondo Riserva Sinistri, non sarà oggetto di valutazione.
In un secondo livello – quello della riserva sintetica – l’attuario valuterà il Fondo in maniera aggregata e conseguentemente la somma accantonata rappresenterà nel suo insieme la passività probabile della struttura.
Alla luce di quanto illustrato riteniamo che le strutture abbiano preso coscienza di queste nuove esigenze anche se alcune appaiono ancora abbastanza distanti da tale consapevolezza. Alcune Strutture, riguardo la costituzione del Fondo Riserva Sinistri, ritengono che nello stesso vadano considerati esclusivamente i danni in contenzioso, in quanto solo questi sono considerabili “Passività Probabili”. Noi riteniamo che l’utilizzo di questo parametro sia fuorviante e pieno di insidie. A tal proposito è lecito pensare che il contenzioso non è “in re ipsa” un debito probabile e quindi una liquidazione certa di un danno. Al contrario la resistenza esercitata in giudizio da parte della struttura può essere considerata una prova del convincimento della stessa circa la sua “non responsabilità” ovvero della esosità della pretesa.
Altre Strutture appongono al Fondo Riserva Sinistri la somma pretesa ed indicata dal terzo nella richiesta di risarcimento o nella citazione in giudizio. Questa scelta appesantisce evidentemente la dimensione delle passività per la Struttura rappresentate dal Fondo.
La bozza del Decreto Attuativo per altro si è preoccupato di questi aspetti quando – 2°comma dell’articolo 14 – sollecita l’utilizzo di idonee competenze professionali per la costituzione dei fondi: “Il processo di stima dei fondi, in applicazione degli specifici principi contabili di riferimento, richiederà particolari conoscenze e l’utilizzo di tecniche probabilistico attuariali ed idonee esperienze ai fini della misurazione dei relativi oneri da fronteggiare con la costituzione dei fondi di cui agli articoli 9 e 10”.
Prescindendo da ogni commento circa la cripticità dell’articolo, che avrebbe dovuto e potuto preferibilmente meglio specificare a quali principi contabili si è riferito, rimane il fatto certo che la valutazione dei fondi costituisce per le strutture un compito complesso e del tutto eccentrico alle sue competenze istituzionali. Questo ci riporta al tema più ampio, quello della Gestione del Rischio del quale i Fondi rappresentano soltanto una fase, anche se cruciale.
INCOMBENZE, QUESTIONI PRATICHE EMERGENTI E VIRTUOSITA’ DEL SISTEMA
L’articolo 17 della bozza di decreto attuativo prescrive, seguendo una formulazione ormai divenuta “di stile” che “le Amministrazioni provvedono all’attuazione delle disposizioni di cui al presente decreto nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e comunque senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”.
Questo articolo ci appare da una parte confirmatorio e contemporaneamente abbastanza incoerente con il già citato articolo 14 nel quale si identificano le professionalità deputate alla valutazione dei Fondi.
Mentre, infatti, il comma 1, nella sostanza riferisce le necessità professionali relative alla gestione dei danni – attività logicamente propedeutica a quella della costituzione dei fondi – il comma 2 aggiunge altre figure da destinare alla valutazione dei Fondi: “ il processo di stima dei fondi, in applicazione degli specifici principi contabili di riferimento, laddove necessario, potrà richiedere particolari conoscenze e l’utilizzo di tecniche probabilistico attuariali ed idonee esperienze ai fini della misurazione dei relativi oneri da fronteggiare con la costituzione dei fondi di cui agli articoli 9 e 10”.
Allo stato attuale tali figure soltanto in parte sono disponibili presso le strutture (il medico legale, il legale, il risk manager), ed in molti casi soltanto dal punto di vista formale in quanto esse non risultano ancora pienamente addestrate ed espertizzate nella materia della gestione dei danni. A tal proposito ricordiamo che il ciclo di vita del danno, dalla fase istruttoria a quella della sua definizione, richiede competenze legali, cliniche e medico legali ma anche capacità negoziali nella fase transattiva, opzione sempre preferibile a quella della sentenza in quanto – secondo i dati storici – più economica in termini di sorte e di spese ed inoltre socialmente più apprezzabile in quanto conciliativa degli avversi interessi.
Quanto poi al dettato del comma 2, auspichiamo di non essere considerati pessimisti in quanto dubitiamo che presso le strutture, pubbliche o private, esistano professionalità competenti nelle discipline tecnico/attuariali alle quali affidare la valutazione dei Fondi in supporto agli Organi Amministrativi.
Trascurare questa realtà rischia di vanificare il conseguimento degli obbiettivi prefissati dalla legge, generando un sistema soltanto formalmente adeguato ma nella sostanza generatore di maggiori costi e del perpetuarsi di una immagine della Cosa Pubblica (nel caso di strutture del SSN) burocratica e scarsamente efficace.
Da un’altra prospettiva è possibile prevedere che l’attuazione fedele della norma potrà comportare la emersione di partite passive, oggi probabilmente ancora non emerse. Si pensi a quella teoria per la quale il Fondo Riserva Sinistri dovrebbe riguardare esclusivamente i danni in contenzioso!
La materia nella sua complessità richiede, quindi, una serie di approfondimenti finalizzati a disegnare le Linee Guida relative alle modalità e agli strumenti di valutazione dei Fondi. Questa incombenza dovrebbe spettare alle Regioni, relativamente alle strutture pubbliche ed anche a quelle convenzionate. Riguardo invece le strutture private il compito potrebbe essere assunto dalle Associazioni di categoria che dovrebbero farsi parte diligente, in tal modo esercitando un importante ruolo istituzionale.
Come abbiamo visto i metodi e le formule per la valutazione delle riserve sinistri sono numerosi e a volte concettualmente alternativi, se non in conflitto tra loro. Gli organismi deputati (Regioni o Associazioni) dovrebbero analizzare le varie opzioni, selezionare e suggerire quella adottabile.
Si potrebbe anche pensare ad una Funzione Attuariale Centrale alla quale affidare il compito della consulenza nella verifica della congruità della valutazione. In alcune Regioni la disponibilità di informazioni globali circa l’andamento dei sinistri di Responsabilità sanitaria renderebbe il risultato più affidabile in quanto testato sulla base di una serie di indicatori relativi all’intero territorio.
E questa ultima riflessione ci riporta alla crucialità della disponibilità di informazioni certe ed attendibili. Questa disponibilità è ancora incerta e comunque parziale e non omogenea. Su questa debolezza pertanto è indispensabile incidere in quanto la consapevolezza della propria situazione di rischio è il primo passo per il percorso verso la sua migliore gestione.
Un adeguato, omologo e seriamente utilizzato supporto informatico, capace di rappresentare le situazioni in forme analitiche e sintetiche, costituisce la colonna vertebrale di tutto il sistema di Gestione del Rischio.
In questo senso il grado di “agilità” che la struttura mostrerà nella costituzione dei Fondi, il livello di adeguatezza che gli stessi riveleranno nel tempo, ottenuti tramite la efficacia dei processi e la qualità professionale degli esperti chiamati a valutarli, costituirà ex post la base del giudizio di accuratezza dell’intero processo di Gestione del rischio.
Si sarà pertanto generato un processo virtuoso che interesserà, ed al quale parteciperà, ogni fase della Gestione del Rischio, dalle azioni di Risk Management alla Liquidazione dei danni.
In questo processo la fase della valutazione dei Fondi realizzerà non soltanto un traguardo ideale di tale processo ma anche una costante verifica e stimolo al miglioramento della efficacia del sistema in ogni sua componente.
Fonte: Rivista scientifica: ALCMAEON – Editore: AD MAIORA – Direttore scientifico: PROF. MICHELE FILIPPELLI