Il relitto della «Principe Umberto» è stato individuato al largo di capo Linguetta a 930 metri di profondità, nelle acque albanesi del canale d’Otranto centosei anni dopo la sua tragica fine.
La principe Umberto fu silurata e affondata dall’esercito austroungarico l’8 giugno 1916 causando 1926 vittime, L’evento, da allora, viene ricordato come una delle più grandi tragedie navali italiane di sempre.
Guido Gay, ingegnere italo-svizzero, che già nel Giugno 2012 nel golfo dell’Asinara, ha individuato il relitto della corazzata “Roma” (affondata il 9 Settembre 1943 a causa di un attacco aereo tedesco), ha ritrovato la Principe Umberto con il sonar poco più di un mese fa. La certezza che fosse proprio questa nave è arrivata qualche giorno fa, grazie ad un mezzo sottomarino robotizzato costruito dallo stesso Gay, che ha raggiunto il fondale permettendo di identificare i resti.
LA STORIA
All’epoca dei fatti La Brigata Marche era stata trasferita dal Carso all’Albania per organizzare il trasferimento in Italia dei prigionieri asburgici giunti a Valona con le truppe serbe, a costruire trincee e opere di difesa. Il comandante in Capo Cadorna però, a metà maggio del 1916, dispone il rientro della Brigata per fronteggiare l’offensiva austroungarica nell’altopiano di Asiago. I soldati si imbarcano nella notte tra il 7 e l’8 giugno 1916 e proprio l’8 giugno la nave è pronta a salpare.
Nel momento della partenza, il sommergibile austo-ungarico U5 transiò in quelle acque. Il tenente Schlosser seppur ignaro che la Brigata Marche stesse facendo rientro in patria per aiutare la difensiva e fosse proprio sulla Principe Umberto, la considerò un bersaglio e ordinò lo sparo di due siluri. Il primo andò a vuoto, l’altro colpì lo scafo facendo esplodere le caldaie del piroscafo.
Il risultato fu una tragedia senza precedenti: 1926 vittime solo 895 sopravvissuti di cui la maggior parte feriti.
IL RITROVAMENTO
Con il sonar abbiamo individuato la presenza del relitto già al primo passaggio, circa un mese fa. Le caratteristiche del relitto, addirittura con un fianco che sporgeva dal fondo, rilevate dal sonar ci davano la quasi certezza che si trattasse proprio di quella nave. L’identificazione visiva è stata effettuata circa un mese fa. Siamo tornati sul posto qualche giorno dopo il rilevamento sonar, ma ci siamo scontrati con le forti correnti dal canale d’Otranto. Per due volte non siamo riusciti a far scendere in profondità il robot sottomarino, una volta ha raggiunto il fondo, ma è finito lontano dall’area dove il sonar aveva rilevato la massa metallica. Finalmente, il quarto tentativo è stato quello buono: il robot è riuscito a raggiungere il relitto e a ispezionarlo, scattando le immagini che ci hanno dato la certezza dell’identificazione.
Guido Gay – ingegnere italo-svizzero autore del ritrovamento
L’EFFETTO MONITO
In questo strano clima profondamente impregnato di venti di guerra, il ritrovamento di uno dei simboli della distruzione che proprio la guerra porta con sè, ci fa un certo effetto. Un effetto che potremmo definire di “mònito”…perchè il passato che lascia segni possa insegnare al futuro.
L’eterna discussione sull’appropriatezza, ad oggi, delle pratiche della guerra, si riapre davanti alla carcassa di una nave che, bombardata, in un momento è diventata tomba per quasi 2000 uomini: simbolo di duemila famiglie “spezzate” con mezzi e per scelte umani.