Il 10 novembre del 1943, alle 9,40 della sera, una formazione di bombardieri inglesi si presentò all’orizzonte della città. Erano passati soltanto un paio di mesi dalla notte del Gran Consiglio dell’8 settembre che aveva decretato la fine del regime. La guerra sembrava a tutti una questione lontana. Gli abitanti di Recco sentirono il rombo degli aerei in formazione e non si allarmarono perché ritenevano che gli aerei avrebbero proseguito verso il sud per dar man forte alle truppe alleate impantanate dalla resistenza tedesca. Ma si sbagliavano perché la formazione puntò dritto verso la costa e presto fu un inferno. Dopo quella prima sera seguirono altri 25 bombardamenti che oltre ad uccidere centinaia di abitanti rasero al suolo la città cancellandone la sua secolare identità.
Il destino di Recco, compiutosi in quelle notti, in verità era stato scritto un secolo prima.
Nel 1860, sull’onda del progresso sociale alimentato dalla unità di Italia, fu decisa la costruzione della ferrovia che avrebbe collegato Ventimiglia con La Spezia. Si trattava di un’impresa faraonica che avrebbe comportato la realizzazione una serie gallerie e viadotti. Infatti, come sappiamo la Liguria è uno stretto territorio fatto di un filare di colline che si aprono in strette valli ove torrenti, a volte aridi ed a volte tempestosi, si precipitano a mare.
Recco, a differenza degli altri centri rivieraschi, si apre invece su una valle più ampia, lievemente declinante verso il mare e completamente urbanizzata.
Emerse quindi la questione del tracciato ferroviario che avrebbe riguardato Recco. I recchelini – così vengono chiamati i suoi abitanti – volevano che la ferrovia fosse collocata a monte e fuori del paese; in questo modo avrebbero evitato di avere i binari proprio nel mezzo del paese, il quale ne sarebbe risultato irrimediabilmente straziato da una ferita destinata a mai rimarginarsi. Ma la richiesta – pur suffragata da giuste motivazioni – risultò inconciliabile con gli interessi della vicinissima Camogli che pretendeva la conferma del tracciato originale in quanto avrebbe consentito, senza alcuna contro indicazione, per merito della costruzione di una galleria, il transito dei treni nel centro del paese.
Alla fine, l’ebbe vinta Camogli; i maligni dissero per merito di un senatore del Regno nato a Camogli. La soluzione comportò la costruzione di un lungo e mostruoso viadotto che spaziava da un lato all’altro della valle di Recco sovrastando l’abitato con una brutalità alla quale neanche dopo oltre 150 anni ci si è potuto abituare.
Ma i recchelini non potevano sapere che quella scelta avrebbe comportato ben più profonde ed irreversibili conseguenze sulla loro città.
I bombardieri alleati, nel tentativo di interrompere le comunicazioni tra nord e sud, avevano l’obbiettivo di distruggere il viadotto. Ci provarono 26 volte: non ci riuscirono! In compenso rasero al suolo il paese. Per completezza di informazione preciso che in seguito il viadotto fu abbattuto dai tedeschi in ritirata, spinti dal medesimo motivo delle truppe alleate!
La valle era un cumulo di macerie. Soltanto una decina di case era stata risparmiata. Sorse quindi la necessità, finita la guerra, di ricostruire il paese, presto e bene. In verità si privilegiò “il presto” piuttosto che “il bene”. Le belle case ottocentesche, che costituivano il patrimonio storico e culturale di Recco, furono sostituite da anonime palazzine tipiche degli anni ’50. I colori sbiaditi delle nuove case soppiantarono quelli caldi ed invadenti dei vecchi fabbricati.
Oggi Recco appare agli occhi del visitatore come un qualsiasi quartiere piccolo borghese concepito e realizzato da qualche palazzinaro romano.
Subito dopo il centro cittadino invece si ritorna repentinamente ai fasti del primo ‘900; lungo la litoranea puoi ancora vedere sparpagliate tra il verde delle colline e lungo la litoranea le ville liberty della buona borghesia genovese o squadrate costruzioni decò di un bianco abbacinante che hanno riconquistato il primitivo splendore per merito di nuovi proprietari lombardi. Oggi le più prestigiose tra queste ville sono possedute da grandi stilisti della moda, da vecchi campioni della Formula 1 e da famosi clinici universitari conosciuti per la loro abilità professionale e per altro.
Recco, quindi, continua ad essere diversa dalle sue vicine consorelle come è sempre stato nella sua tradizione, ma per nuovi e diversi motivi. Se infatti prima della guerra si distingueva per la sua vocazione agricola, piccolo- industriale e commerciale, piuttosto che marinaresca, oggi esprime una vocazione turistica controcorrente. Un turismo fatto di proprietari di case sistemate sulle scogliere e soprattutto sulle colline verdi che circondano il paese.
Il turismo “mordi e fuggi” salta letteralmente Recco per invadere Camogli e Santa Margherita. La stagione balneare di Recco ripete le scansioni degli anni ’50, come se virtuosamente il tempo si fosse arrestato a quella data. I villeggianti, per lo più lombardi, non sono estranei all’ambiente; si sono fusi con i paesani ed insieme passano le serate sulle terrazze delle loro case a bere qualcosa prima di arrendersi alla stanchezza della lunga giornata di mare.
I trenta ristoranti di Recco – riconosciuta come la patria della cucina ligure – ove si gusta soprattutto la famosa focaccia al formaggio, sono riempiti da gente che “viene da fuori”. Ma non ci sono pub o dispensatori di “happy hour” che disturbano fino alle “ore piccole” il sonno dei giusti.
Recco, insomma, non si è fatta violentare. È diventata invece una enclave riservata soltanto a chi sa apprezzarla. Ancora una volta lo spirito burbero e determinato dei recchelini ha avuto la meglio. Essi sono fieri di aver in qualche modo protetto e conservato la loro identità. Sono felici del fatto che, in fin dei conti loro sono riconosciuti come i veri custodi dello “spirito indomito che governa le cose di mare” tramite la loro squadra Pro-Recco, il team che oltre quattro lustri domina la pallanuoto italiana e europea (domandate a Serena!).