L’ORIENTAMENTO
Le tecnologie ci aiutano ma a serve comunque “accendere il cervello”, ormai viaggiamo e ci spostiamo come automi seguendo le strade che ci indicano i navigatori, senza nemmeno renderci conto di nord sud o punti di riferimento che una volta erano vitali da memorizzare per saper tornare in un posto o orientarsi in una zona. Questo senza dubbio impoverisce le nostre abilità intellettuali di orientamento nello spazio e di conoscenza dell’ambiente in cui ci muoviamo, e poiché la pratica dello spostarsi col navigatore coincide sempre di più con l’età in cui si inizia ad utilizzare uno smartphone, l’abilità di orientarsi ed imparare le strade viene persa prestissimo dalle generazioni di oggi.
Potrebbe sembrare il discorso di un vecchio genitore nostalgico dei tempi andati, ma è tutt’altro. Pensate a come si è formata l’idea della della città in cui vivete, nella vostra testa. Se avete la fortuna di vivere in una città che avete potuto conoscere sin da ragazzi con la bici o con lo scooter, potete dire di avere davvero “la città in tasca”, anche se avrete qualche lacuna delle zone che magari non avete frequentato (che nel caso di Roma potrebbero essere tantissime). Se invece vivete in una città dove siete arrivati da adulti, difficilmente potrete avere la stessa sensazione di conoscenza/appartenenza, ma potrete aiutarvi iniziando a “perdervi nella città” a scoprire i punti di riferimento che disegnano lo spazio “nuovo” in cui vivete e vi muovete. Se non avrete tempo da dedicare a questa pratica e vi sposterete solo con l’ausilio del navigatore, probabilmente non conoscerete mai davvero la città in cui vivete.
Per i giovani è lo stesso, solo che, come dicevamo, la pratica dell’utilizzo del navigatore per loro comincia prestissimo, noi l’abbiamo iniziata solo da qualche decennio perché prima non c’erano dispositivi portatili con questa tecnologia. Il rischio è, quindi quello di non affezionarsi e non conoscere affatto la propria città, perdendo progressivamente l’abilità orientativa, che non esercitata, finirà in disuso.
Oltre a ciò, come dicevamo all’inizio, occorre usare le tecnologie “accendendo il cervello” ossia in modo attivo e non passivo. A Luglio era uscita la notizia del turista svedese a bordo della volvo che, seguendo le indicazioni del navigatore, si era infilato nel sottopasso pedonale tra Mestre e Marghera. Assurdo ci viene da dire, e invece no, perché l’impostazione del navigatore era stata settata sul percorso “a piedi” e ovviamente il turista si è affidato alla tecnologia senza prestare attenzione ai segnali che evidentemente indicavano un passaggio pedonale.
Se pensiamo che in uno scenario non troppo lontano le macchine saranno dotati di vera e propria AI – qualcuna già lo è almeno parzialmente – l’utilità del cervello sembra sempre più in secondo piano, e con essa l’abilità di guidare, di evitare incidenti, di conoscere e rispettare i segnali stradali, di intuire, e di vivere il viaggio o lo spostamento in modo attivo etc etc.
E vi lasciamo qualche domanda provocatoria: ha senso educare i ragazzi all’uso di queste abilità se poi non gli saranno richieste? Le abilità orientative sono davvero solo legate agli spostamenti fisici? Possiamo davvero permetterci di perderle come stiamo perdendo anche quelle di scrivere a penna o di leggere pagine di carta?