La direttiva europea Case Green mira a rendere più efficienti gli immobili residenziali, che dovranno rientrare nella classe E entro il 2030 e in quella D entro il 2033, ma la proposta sta creando molte discussioni anche in Italia, viste le criticità legate al nostro patrimonio immobiliare.
Negli ultimi giorni sta facendo molto discutere la notizia riguardo la cosiddetta direttiva europea “case green” sull’efficientamento energetico degli edifici (EPBD). La presidenza di turno svedese dell’Unione Europea è intenzionata ad approvare questa direttiva che, dalla bozza, prevede che tutti gli immobili residenziali siti nei Paesi Membri dovranno rientrare nella classe energetica E entro il 1° gennaio 2030 e nella classe energetica D entro il 1° gennaio 2033.
Questa direttiva europea rientra nella politica ambientale “Fit for 55”, un pacchetto di misure che ha come obiettivo finale quello di raggiungere le zero emissioni entro il 2050 e comunque di ridurle del 55% entro il 2030 rispetto al 1990.
Per raggiungere questi obiettivi è previsto un taglio dei consumi energetici del 25%, perciò sarà essenziale effettuare negli immobili interventi come l’installazione del cappotto termico, l’installazione di nuove caldaie a condensazione, la sostituzione degli infissi e l’installazione di pannelli solari.
Per quanto riguarda l’Italia, l’attuazione di questa direttiva europea incontra non poche problematiche in quanto, stando ai dati dell’Ance (Associazione nazionale costruttori edili), risulta che nel nostro Paese oltre 9 milioni di edifici residenziali, su un totale di 12,2 milioni, sono stati costruiti prima dell’entrata in vigore della normativa inerente al risparmio energetico, di conseguenza non rientrerebbero in quelle che sono le performance energetiche richieste dalla direttiva. Per intenderci, si tratta di circa il 74% degli immobili presenti in Italia.
Inoltre, secondo i dati divulgati dall’Enea sugli Attestati di Prestazione Energetica (Ape), pare che nel 2021, in Italia, circa il 35% degli immobili era in classe G, circa il 24% in classe F e solo il 16% in classe E.
Da ciò si evince come più di metà del patrimonio immobiliare italiano andrebbe ristrutturato entro il 2030 e questo adeguamento comporterebbe chiaramente una spesa di migliaia di euro da sostenere per coloro che vivono in condominio e una spesa ancora più alta per coloro che vivono in case e ville singole.
La maggioranza del Governo italiano appare contraria a tale direttiva, poiché, per quanto sia innegabile l’importanza di rendere più efficiente il patrimonio edilizio di ogni singolo Stato, la situazione in Italia è senza dubbio molto complicata e, secondo Milano Finanza, si stima che i costi complessivi di riammodernamento da affrontare nell’arco di 7 anni corrispondano a circa 1.400 miliardi di euro, una somma notevole ma comunque non precisa in quanto soggetta a molteplici variabili.
I tempi molto ristretti entro cui agire, qualora la direttiva europea venisse approvata, comporterebbero anche una tensione generale sul mercato con un conseguente aumento spropositato dei prezzi e, al contempo, molte difficoltà per le imprese le quali già nell’ultimo anno hanno incontrato non poche difficoltà nel reperimento delle materie prime e della manodopera, senza considerare che, in ambito condominiale, vi sono molti edifici sui quali è impossibile materialmente intervenire per numerosi motivi.
Tutta questa situazione, inoltre, si ripercuoterebbe anche sulle spalle degli amministratori di condominio, i quali stanno già affrontando non poche problematiche con i vari bonus edilizi e a queste si aggiungerebbero situazioni ancora più complesse da gestire.
Ad ogni modo il prossimo 9 febbraio potrebbero già arrivare le prime risposte visto che in tale data verranno poste all’esame della Commissione energia del Parlamento europeo le proposte di compromesso.
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