Intervista al segretario generale della Fials Giuseppe Carbone
Con la pandemia da Covid-19 una delle professioni più nominata e salita agli onori della cronaca è stata quella degli infermieri, ma quanti tra noi sanno veramente chi è un infermiere? E perché, se sono così necessari, ne mancano così tanti in Italia? In occasione della Giornata internazionale degli infermieri, che si celebra in tutto il mondo il 12 maggio, occorre fare il punto su questa professione.
In Italia operano circa 450mila infermieri, di cui 270mila come dipendenti pubblici, gli altri nel privato o in libera professione. La carenza di infermieri era già nota prima della pandemia: ne mancavano all’appello circa 70mila. Con l’emergenza sanitaria ne sono stati assunti quasi 17mila, ma solo uno su tre a tempo indeterminato, e molti hanno sostituito i colleghi che nello stesso periodo hanno lasciato la professione per raggiunti limiti di età o per la possibilità di andare in pensione anticipata con Quota 100. Quindi siamo punto e a capo.
Per far fronte alla campagna vaccinale anti Covid nella Legge di bilancio 2021 è stata prevista l’assunzione di altri 12mila professionisti tra infermieri e assistenti sanitari, ma sempre con contratti precari di qualche mese. Si tratta insomma di assunzioni a tempo legate all’epidemia. E dunque, il problema della loro carenza non è affatto risolta. Per capire di più su ciò che sta succedendo, ma soprattutto per fare chiarezza su chi sono e cosa fanno gli infermieri, rivolgiamo alcune domande al segretario generale della Fials, Giuseppe Carbone.
Quali sono le principali competenze di un infermiere?
Gli infermieri devono abbinare le competenze tecniche e scientifiche a quelle relazionali e di empatia verso il paziente, e nel frattempo interagiscono con i medici e con gli altri operatori sanitari. Assistono i medici nelle operazioni chirurgiche, negli esami del paziente e nelle varie procedure. Ma si relazionano anche con i pazienti e spesso forniscono a familiari e malati informazioni sullo stato di salute, e consulenze su eventuali trattamenti. Questo in generale, poi ci sono gli specialisti che agiscono di concerto con i medici e i chirurghi per attività complesse e medicazioni avanzate. Tutti questi compiti richiedono da un lato un’elevata preparazione, dall’altra grande empatia e altruismo, cui va affiancata un’alta capacità di comunicazione. E non ultima, la capacità di lavorare in situazioni stressanti, come quella attuale.
Come si diventa infermieri?
Per essere abilitati all’esercizio della professione, occorre conseguire la laurea in infermieristica ed essere iscritti all’ordine professionale (ogni provincia ne ha uno, tutti insieme costituiscono la FNOPI). Il corso di laurea in infermieristica è articolato in tre anni e comprende attività didattica teorica, pratica e clinica. Parte integrante e qualificante è l’attività formativa pratica e di tirocinio clinico, svolta sotto la guida di assistenti di tirocinio (infermieri esperti) e la supervisione di un tutor professionale. Il corso è a numero programmato, si tratta del cosiddetto ‘imbuto formativo’ e la Fials ha chiesto al Miur di aumentare i posti a disposizione.
Ci sono ulteriori specializzazioni post laurea?
Dopo la laurea triennale in infermieristica, gli infermieri possono acquisire conseguire master di specializzazione clinica o manageriale di primo e secondo livello (1 o 2 anni) e/o la laurea magistrale (2 anni) e il dottorato di ricerca. Ad esempio per diventare infermiere coordinatore (ex caposala), l’infermiere deve conseguire il master di primo livello in Management. Ma non è finita, perchè l’infermiere si aggiorna continuamente attraverso l’acquisizione di crediti Ecm
Quanto guadagna un infermiere in Italia?
Tra le 1400 e le 1600 euro, cui si arriva con le notti e i festivi: uno stipendio non dignitoso, in Europa siamo fanalino di coda ed è per questo che prima della pandemia molti giovani sono espatriati appena laureati, infatti la nostra formazione universitaria in infermieristica viene giudicata tra le migliori dai cacciatori di teste inglesi, tedeschi e dei Paesi bassi (dove vengono pagati 3-4 volte di più). Tutto questo avviene nel silenzio generale del ministro della Salute e delle stesse Regioni e a fronte delle enormi responsabilità di cui l’evoluzione della figura professionale li ha investiti, e con l’obbligo di iscriversi all’albo dal 2017. Una situazione che auspico trovi definitiva risposta professionale ed economica nell’imminente rinnovo del contratto.
Dove trovare i bandi specifici per essere assunti da enti pubblici?
I bandi di concorso pubblici vengono pubblicati in Gazzetta Ufficiale naturalmente, ma li si trova agevolmente sui siti delle Aziende sanitarie e online ormai è facile imbattersi in pubblicità di avvisi di reclutamento, anche grazie alle testate di settore e ai numerosi siti d’informazione sanitaria che li rilanciano.
Quanti sono gli infermieri in Italia e quanti ne servirebbero?
Sono circa 450mila, di cui 270mila pubblici dipendenti, ma ce ne vorrebbero almeno altri 110mila per rientrare non solo nei parametri dei Paesi OCSE (8,8 infermieri su mille abitanti rispetto ai 5,8 dell’Italia), ma anche a livello ospedaliero, dove i parametri internazionalmente riconosciuti corretti sono 1 infermiere ogni 6 pazienti, rispetto alla media attuale di 1 a 12. Nell’emergenza Covid-19 si è riscoperta l’importanza di professionisti come gli infermieri che hanno svolto e continuano a svolgere un ruolo di primo piano, portando all’attenzione, oltre all’indiscussa professionalità, la loro grande umanità e vicinanza ai cittadini. Ed è proprio in nome di questo senso del dovere che la categoria ha pagato un prezzo molto alto con circa 110mila contagiati e 80 vittime. Un disastro che avrà lunghi strascichi sia fisici che psicologici.
Quali sono le prospettive di questa professione?
C’è poco da stare allegri. Con il Covid ci sono state circa 36mila assunzioni tra medici e infermieri, ma i 2/3 dei contratti proposti agli infermieri erano a tempo determinato. Sono stati trattati e continuano ad essere trattati come lavoratori ‘usa e getta’. Purtroppo c’è ancora molta precarietà e le stabilizzazioni promesse tardano ad arrivare, nonostante la situazione di emergenza e di carenza generalizzata degli organici. Noi, come Fials, siamo impegnati in continue battaglie sui territori per far allentare i cordoni della borsa alle amministrazioni e far riconoscere agli infermieri ciò che gli è dovuto, come le indennità e gli straordinari, ma tutt’oggi è difficile e ci tocca fare la voce grossa.
E se gli infermieri facessero libera professione intramoenia?
La Fials chiede di dare l’opportunità agli infermieri pubblici di svolgere la libera professione intramoenia, così come fanno già i medici. Tecnicamente si tratta di attività professionale svolta “tra le mura” della propria azienda ospedaliera, al di fuori del proprio orario di servizio. Questo sarebbe certamente di grosso aiuto per l’abbattimento delle liste d’attesa e per garantire prestazioni e servizi di diagnosi e cura il più rapidamente possibile così da non “obbligare” il cittadino a rivolgersi a strutture private.
Come sta cambiando la professione di infermiere?
Per quanto riguarda la sanità del futuro la parola chiave è ‘prossimità’, lo afferma il Recovery Plan che vedrà sicuro protagonista l’Infermiere di famiglia e di comunità (Ifec), come peraltro già previsto nel decreto Rilancio e nel Patto della Salute 2019-2021. Secondo gli annunci della scorsa estate del ministro della Salute Roberto Speranza, circa 9600 professionisti andranno a creare una rete di sostegno territoriale finalizzata alla copertura dei crescenti bisogni di continuità assistenziale e aderenza terapeutica per le fragilità e i pazienti cronici, in un’ottica di integrazione con i servizi socioassistenziali. Purtroppo tutto tarda a realizzarsi per via della pandemia, ma attendiamo con impazienza la ripartenza.
Chi è l’Infermiere di famiglia e comunità?
Proprio nel 2020 con il Decreto Rilancio è stata istituita la figura dell’Infermiere di famiglia/comunità (Ifec), un infermiere che ha conoscenze e competenze specialistiche nelle cure primarie e sanità pubblica, e fa parte di un’equipe multidisciplinare. Tra gli obiettivi principali, ha il miglioramento della condizione di vita del paziente, la gestione della cronicità e la prevenzione della disabilità e in generale l’identificazione e valutazione dello stato di salute e i bisogni delle persone e familiari nel loro contesto, garantendo la permanenza all’interno della propria casa. L’Ifec ha un ruolo fondamentale in tutto il continuum assistenziale dalla nascita all’accompagnamento alla morte. Così sarà la sanità ad andare dai pazienti, e non viceversa, come è sempre avvenuto: una rivoluzione gentile.
a firma di:
Silvia Donat-Cattin, giornalista
ufficio stampa Fials
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