L’ambiente che viviamo è messo a dura prova da molte nostre abitudini.
Esistono situazioni critiche da combattere, usi da modificare e crudeltà da fermare.
L’uomo produce sostanze tossiche come l’arsenico, il mercurio e tante altre che stanno avvelenando delfini, balene ed interi ecosistemi.
Gli scienziati avvertono che, se si continua con questo ritmo, entro il 2050 al posto dei pesci vedremo galleggiare solo plastica nel mare eppure i nostri supermercati sono invasi da imballaggi dannosi (e spesso inutili).
GLI ECOSISTEMI E IL COVID-19
In questo critico scenario non possiamo dimenticare la ricerca pubblicata su Nature che ha evidenziato la “stretta relazione tra la distruzione degli ecosistemi naturali per mano dell’uomo e l’aumento di ratti e pipistrelli, che fanno da veicolo a malattie”.
Questa ricerca ha analizzato circa 7.000 comunità animali in sei continenti.
I ricercatori hanno scoperto che: “la conversione di luoghi selvaggi in terreni agricoli o insediamenti spesso cancella le specie più grandi. Questa trasformazione avvantaggia le creature più piccole e adattabili che fungono da incubatore per la maggior parte dei patogeni che possono passare poi agli umani”.
Le specie animali incubatrici di queste malattie possono essere fino a 2,5 volte maggiori negli ambienti degradati.
Gli esperti affermano che la pandemia di Covid-19 è stata un “segnale d’allarme” che deve spingere ognuno di noi ad una maggior tutela e ad un maggior rispetto della natura.
HIBAKU JUMOKU
La Natura è forte, si conosce e sa prendersi cura di sé stessa rigenerandosi anche quando non lo crediamo possibile.
Un esempio? Gli Hibaku Jumoku!
Questi sono gli alberi sopravvissuti alla bomba atomica di Hiroshima.
Il dottor Harold Jacobsen, scienziato del Manhattan Project, ha dichiarato al Washington Post che i luoghi colpiti dalla bomba atomica del 6 agosto 1945 sarebbero rimasti completamente privi di qualsiasi forma di vita per i successivi 75 anni.
Eppure, nella primavera successiva, ecco spuntare germogli tra le rovine della città.
In seguito al disastro atomico vennero piantati molti alberi inviati come dono da altre zone del Giappone e dall’estero.
Tuttavia ad Hiroshima ci sono ancora centinaia di alberi che erano presenti al momento dell’esplosione della bomba.
Parliamo di alberi collocati in un raggio di circa 2 chilometri dal punto dell’esplosione. Essi erano danneggiati e con i rami spezzati ma riuscirono a sopravvivere, a rinvigorirsi e a tornare a nuova vita.
Ognuno di essi si chiama “Hibaku Jumoku” ossia “albero sopravvissuto”. Ciascun albero è registrato ufficialmente ed è identificato da un’apposita targa.
Gli alberi sopravvissuti alla bomba sono circa 170 esemplari di 32 specie diverse e il più vicino alla zona dell’esplosione è un salice piangente che è rinato delle proprie radici dopo essere stato annientato dalla deflagrazione.
Dopo oltre settant’anni dal lancio della bomba atomica, Hiroshima è una città moderna e verde.
Oggi gli abitanti di Hiroshima condividono con il mondo intero i semi provenienti dagli “Hibaku Jumoku” da cui nascono altri alberi testimonianza straordinaria di come anche dalla distruzione possa nascere una nuova vita.
I FUNGHI DI CHERNOBYL
Un altro straordinario esempio della forza rigeneratrice della natura è costituito dai funghi nati nel reattore nucleare di Chernobyl distrutto nel disastro del 1986.
Questi funghi sono in grado di assorbire i raggi nocivi per produrre energia proprio come le normali piante riescono a convertire l’anidride carbonica e la clorofilla in ossigeno e glucosio.
Un gruppo di ricercatori dell’Università di Stanford ha condotto degli esperimenti sull’Iss (la Stazione Spaziale Internazionale) e ha dimostrato che proprio questo fungo potrebbe consentire all’uomo di sopravvivere sul Pianeta Rosso e potrebbe proteggere le future colonie umane su Marte.
LE SEQUOIE DELLA CALIFORNIA
Nei giorni scorsi la California è stata devastata da terribili incendi che non hanno risparmiato il magico Big Basin Redwoods State Park, visitato ogni anno da 250.000 persone.
Il fuoco ha distrutto la sede storica del parco, le infrastrutture del campeggio
e molti piccoli edifici ma il bosco di sequoie secolari (esseri di circa 2.000 anni) è riuscito a sopravvivere.
Tra gli esemplari sopravvissuti c’è anche “Madre della Foresta”, l’albero più maestoso del parco con i suoi 100 metri di altezza.
Una sequoia, infatti, può sopravvivere agli incendi boschivi, alle tempeste di vento e ai fulmini.
“La foresta si è salvata”, ha detto McLendon. “Ricrescerà. Ogni vecchia sequoia che abbia mai visto, a Big Basin e in altri parchi, ha cicatrici da fuoco. Hanno attraversato più incendi, forse peggio di questo. “
UN LAVORO IN SINERGIA
La salvaguardia e la tutela del nostro ambiente probabilmente sarebbe più facile se agissimo in sinergia con la forza della natura e come diceva José Ortega y Gasset: “Io sono me più il mio ambiente e se non preservo quest’ultimo non preservo me stesso”.
Voi cosa ne pensate?
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