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Le indagini di RM

IL PRONTO SOCCORSO

L’ASSISTENZA TERRITORIALE RISPETTA IL NOSTRO DIRITTO COSTITUZIONALE ALLA SALUTE?

È un po’ di tempo che il servizio di Pronto Soccorso Ospedaliero è diventato il bersaglio di ogni critica che i media amplificano e poi restituiscono moltiplicata alla collettività. Leggiamo di blitz organizzati all’interno delle strutture, di ripetute aggressioni ai sanitari, vediamo scene di pazienti parcheggiati anche per molte giornate sulle lettighe delle autoambulanze che conseguentemente non possono continuare il loro servizio.

Si tratta di un esempio classico per il quale l’ultimo anello della filiera di un servizio è additato come responsabile di tutte le colpe che soltanto in modesta parte dipendono da Lui.

UNA QUESTIONE COMPLESSA

La verità è che il servizio di Pronto Soccorso sta pagando il prezzo di una politica miope, fortemente trascurata, riguardo l’assistenza sul territorio. Mi rendo conto che le osservazioni fatte da noi cittadini – compresi i suggerimenti che a volte proponiamo– possano apparire semplicistiche di fronte ad una tematica tanto complessa ove entrano in gioco fattori sociali, anagrafici, ambientali ai quali non fa seguito alcuna risposta organizzativa. Il nostro “sentiment” è che non sia stata ancora fatta da parte degli addetti ai lavori, quanto meno, un serio progetto di trasformazione della assistenza sanitaria territoriale basata sulla individuazione delle cause prime che hanno prodotto questa insostenibile situazione. In altre parole, sembra che la situazione sia sfuggita di mano ed in aggiunta non pare che emerga una adeguata reazione, se non esecutiva, almeno progettuale.

Eppure, non era difficile pronosticare quello che sta avvenendo!

ASSISTENZA SU VARI LIVELLI

L’assistenza sanitaria pubblica è strutturata su vari livelli; è una specie complessa di vasi comunicanti. È comprensibile che il cittadino, malato o presunto malato, se non trova risposte al primo livello, tenti di accedere al livello superiore, soprattutto quando questo – il Pronto Soccorso – è disponibile 24 ore al giorno. L’unica reazione delle Autorità Sanitarie è quella di limitarsi a stigmatizzare il comportamento dei cittadini, rappresentando una drammatica situazione statistica nella quale soltanto il 10% dei pazienti recatisi al PS ne hanno un’effettiva necessità.

Ma non se ne chiede il motivo. Se vostro padre ottantenne ha la febbre alta da una settimana; se il medico di famiglia, se siete fortunati, vi ha risposto al telefono ed ha prescritto un antipiretico, ha fissato un appuntamento presso il suo studio per una data che supera  una settimana, se la febbre non è scesa, se vostro padre è affetto da varie patologie, allora non vi rimane che accompagnarlo al Pronto Soccorso.  Voi diventate uno dei tanti che, colpevolmente ingolfate il Pronto Soccorso, distraete i sanitari dai casi effettivamente gravi, perdete una giornata di lavoro, stazionate per ore nelle sale d’attesa, bevete a raffica caffè alle macchinette, state seduti, vi alzate, uscite a fumare, rientrate, vi confrontate con altri parenti, condividete con loro la rabbia per la situazione che state vivendo, rispondete al telefono a vostra madre che è assetata di notizie, sperando che siano buone. Alla fine di questo viaggio in un giorno dantesco, il più delle volte ricevete un responso “ad ampio spettro” condito con prescrizioni di accertamenti potenzialmente capaci di restringere il campo delle ipotesi. Tutto questo è stato ottenuto in circa 10 ore di attesa e con il pagamento del ticket da codice bianco. Ma è come un gioco dell’oca che vi riporta al punto di partenza.

UNO NESSUNO E CENTOMILA

 Se moltiplichiamo il caso di questa persona per altre migliaia e migliaia che si verificano ogni giorno, allora possiamo calcolare quanto questa situazione incida direttamente o indirettamente sul benessere generale, sul livello di affidabilità delle istituzioni percepita dai cittadini e, non ultimo, sulla intera economia nazionale.

Un’analisi effettuata al tempo giusto, non complessa, dei trend avrebbe potuto far riflettere sull’evolversi della situazione, sull’innalzamento dell’età media e della sensibilità generale al proprio stato fisico, sulla riduzione delle “vocazioni sanitarie” aggravate dal numero chiuso di accesso agli studi per la professione sanitaria, avrebbe provocato una  maggior attenzione al ruolo del medico di famiglia, all’effettivo contributo che gli ospedali locali dismessi e trasformati in ambulatori avrebbero potuto garantire  nell’assistenza di base.

Oggi la situazione è compromessa ma non irrecuperabile.

LA QUESTIONE DELLA PROGRAMMAZIONE

È indispensabile, tuttavia, una programmazione che si muova su molti fronti. In primo luogo, l’ampiamento degli organici sanitari attraverso una modifica di accesso agli studi sanitari; una revisione del ruolo del medico di famiglia ed anche della tipologia e quantità dei loro carichi di lavoro; una efficacia oggettiva degli ambulatori sanitari pubblici; un nuovo rapporto tra pubblico e privato nel quale quest’ultimo costituisca una risorsa complementare e non sostitutiva del Servizio Sanitario nazionale. In questo modo potremo vedere congestionati i nostri Pronto Soccorso ristabilendo una ripartizione dei compiti tra le funzioni ragionevole ed economica.

Tutto questo costerà denaro pubblico perché comporterà un incremento della spesa sanitaria. Ma in una visione predittiva del nostro futuro dovremo contemporaneamente attuare una programmazione della medicina a distanza, considerata una evoluzione naturale della medicina tradizionale e non alternativa a questa. Sarà una medicina più rapida e presente, più equa e condivisa, ed anche più economica senza per altro pagare il costo della riduzione della assistenza (come è accaduto nei nostri giorni).

Ma per questo, purtroppo, ci vorrà tempo. Dovremo attendere una nuova generazione di cittadini e di pazienti più consapevoli e consenzienti, più tecnologicamente pronti e disponibili verso una vera alleanza terapeutica attiva.

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