QUANDO COMUNICARE DIVENTA UN ESERCIZIO DI EQUILIBRISMO
Benvenuti nell’era del politically correct, dove ogni parola è una potenziale mina vagante e ogni frase deve essere calibrata con la precisione di un chirurgo. Siamo passati dall’arte della conversazione all’arte della diplomazia linguistica, dove anche un semplice “buongiorno” può essere interpretato come un’offesa se non accompagnato da un’adeguata dose di neutralità.
Immaginate di voler fare un complimento a un collega. Un tempo avreste detto: “Hai fatto un ottimo lavoro!” Oggi, invece, dovete considerare una serie di variabili: il genere, l’etnia, l’orientamento sessuale, le preferenze alimentari e persino l’astrologia. Non vorrete mica offendere qualcuno che crede fermamente nell’influenza di Mercurio retrogrado, vero?
I PRONOMI
Veniamo ai pronomi. Ah, i pronomi! Un campo minato di proporzioni epiche. Dimenticatevi di “lui” e “lei”, ora abbiamo un’intera gamma di opzioni che vanno da “loro” a “xe”. E guai a sbagliare, perché un errore potrebbe costarvi un’accusa di insensibilità e una lunga sessione di rieducazione linguistica.
Ma non finisce qui. Anche le espressioni più innocue possono diventare problematiche. Dire “ragazzi” per rivolgersi a un gruppo misto? Assolutamente no! Meglio optare per un più inclusivo “persone”. E se vi scappa un “signore e signori” durante una presentazione, preparatevi a una pioggia di critiche per non aver incluso chi non dovesse identificarsi in una di queste categorie.
SENSIBILITÀ
Il politically correct ha trasformato il nostro modo di comunicare in un gioco di equilibrismo, dove ogni parola deve essere scelta con cura per evitare di urtare la sensibilità di qualcuno. E mentre ci destreggiamo tra pronomi, espressioni neutre e complimenti calibrati, ci chiediamo se non stiamo perdendo di vista l’essenza stessa della comunicazione: la spontaneità e la sincerità.
Pensate ai tempi in cui si poteva scherzare liberamente senza il timore di essere fraintesi o accusati di insensibilità. Oggi, ogni battuta deve passare attraverso un filtro di correttezza politica, e anche il più innocuo dei commenti può trasformarsi in un caso diplomatico. “Hai perso peso!” potrebbe essere interpretato come un commento sulla salute o sull’aspetto fisico, e quindi potenzialmente offensivo. Meglio dire: “Sembri in forma!” Ma attenzione, anche questo potrebbe essere frainteso!
FESTIVITÀ
E che dire delle festività? Augurare “Buon Natale” potrebbe offendere chi non celebra questa festività. Meglio optare per un più generico “Buone Feste”, anche se c’è sempre il rischio di dimenticare qualche celebrazione importante. E se qualcuno si offende perché non avete incluso il Capodanno Cinese o il Diwali? Un vero rompicapo!
IL MONDO DEL LAVORO
Il politically correct ha anche invaso il mondo del lavoro. Le riunioni sono diventate un campo minato di sensibilità, dove ogni opinione deve essere espressa con estrema cautela. Non si può più dire “Non sono d’accordo”, ma piuttosto “Capisco il tuo punto di vista, ma forse potremmo considerare un’altra prospettiva”. Un esercizio di diplomazia che farebbe impallidire anche i migliori ambasciatori.
Parliamo anche delle professioni: un tempo c’erano la “bidella”, il “pescivendolo”, lo “spazzino” etc senza pensarci troppo. Oggi, però, queste definizioni sono considerate potenzialmente offensive. La “bidella” è diventata “collaboratrice scolastica”, il “pescivendolo” è ora un “operatore ittico”, e il “spazzino” è un “operatore ecologico”.
Questi cambiamenti, sebbene nati con l’intento di rispettare e valorizzare ogni professione, a volte sfociano nel ridicolo, trasformando il nostro linguaggio in un labirinto di eufemismi e perifrasi.
Inoltre, soprattutto in riferimento ai termini che designano professioni, questi non sono mai stati ufficialmente discriminatori od offensivi, ma lo sono diventati a causa dell’utilizzo che se ne è fatto…quindi, se tanto ci da tanto, in breve tempo anche operatore scolastico o ecologico o ittico potranno diventare un’offesa. E mentre cerchiamo di non offendere nessuno, ci chiediamo se non stiamo perdendo di vista la semplicità e la chiarezza della comunicazione.
E poi ci sono le email. Un tempo si poteva scrivere “Caro Mario”, ma oggi? Meglio optare per un più neutro “Ciao”. E se Mario preferisce essere chiamato con un altro nome? Meglio chiedere prima di scrivere qualsiasi cosa. E non dimentichiamo le firme: “Cordiali saluti” potrebbe sembrare troppo formale, “Un abbraccio” troppo informale. La soluzione? Un generico “Saluti”, che però potrebbe sembrare freddo e distaccato. Un vero dilemma!
COMUNICAZIONE E CASUALITÀ
Che dire – poi – delle conversazioni casuali? Un tempo si poteva parlare del tempo senza problemi. Oggi, anche questo può essere complicato. Dire “Che caldo!” potrebbe offendere chi soffre il caldo, mentre “Che freddo!” potrebbe urtare la sensibilità di chi ama l’inverno. Meglio optare per un più neutro “Il tempo è interessante oggi”, anche se suona un po’ strano.
In conclusione, il politically correct ci ha insegnato l’importanza del rispetto e dell’inclusività, ma forse è arrivato il momento di trovare un equilibrio tra sensibilità e buon senso. Anche perché, diciamocelo, a volte un po’ di ironia e leggerezza non guastano. E mentre continuiamo a navigare in questo mare di correttezza politica, ricordiamoci che la comunicazione è fatta anche di spontaneità e sincerità. In fondo, un sorriso e una battuta ben piazzata possono fare miracoli.
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