Il 5 aprile, a Genova, si è tenuto il festival di Osservatorio Artico, “Italia chiama Artico”. Nel corso dell’evento è stato affrontato il tema dei cambiamenti climatici e dei relativi mutamenti che interessano la regione polare, valutando i possibili impatti sulle rotte commerciali e sulla logistica mondiale.
Gli ultimi anni di pandemia, alla quale ora si è aggiunta anche la recente guerra, hanno dato un’accelerazione a tutti i progetti dedicati alla salvaguardia ambientale e questo ci fa sperare che forse possiamo ancora tutti fare qualcosa in tal senso. Le riflessioni che sorgono sulla questione artica sono ironiche ed iconiche: in pratica, i danni che abbiamo provocato all’ambiente, che nella zona artica constano prevalentemente nello scioglimento dei ghiacciai, hanno reso praticabili nuove rotte navigabili, che permetterebbero di diminuire costi e inquinamento all’ambiente stesso.
Luca Sisto, Direttore Generale di Confitarma e Presidente dell’Istituto Italiano di Navigazione, ha analizzato vantaggi e criticità delle nuove rotte commerciali rese accessibili alle navi a seguito del progressivo scioglimento dei ghiacci. Ad oggi, infatti, è possibile percorrere quattro itinerari di navigazione nell’Artico:
- il passaggio a Nord-Est, che comprende la ben più nota Northern Sea Route (NSR), percorre le coste artiche della Russia e della Norvegia;
- la Transpolar Sea Route (TSR), che si estende dallo stretto di Bering fino all’Islanda attraversando il Polo Nord, è di difficile transito a causa di uno spesso strato di ghiaccio che la ricopre;
- il Passaggio a Nord-ovest (Northwest Passage, NWP) che attraversa l’arcipelago canadese e il nord dell’Alaska;
- la meno conosciuta Arctic Bridge Route (ABR), una rotta stagionale che collega il porto di Murmansk, in Russia, con il porto di Churchill, in Canada.
Le dichiarazioni di Luca Sisto:
“È chiaro che la riduzione delle distanze consentirebbe alle compagnie di navigazione di abbattere i costi legati al carburante e, di conseguenza, ridurre le emissioni, senza contare che eviterebbero l’oneroso pedaggio per il transito nel Canale di Suez e pagherebbero premi assicurativi più bassi per il passaggio nel golfo di Aden, area da sempre soggetta ad attacchi di pirateria”.
E prosegue:
“Purtroppo, ad oggi, i vantaggi di queste nuove rotte sono superati ancora da criticità quali, la mancanza di strutture logistiche per facilitare il commercio e per poter far fronte ad incidenti e riparazioni delle navi nelle vicinanze; il fatto che non siano adatte al passaggio di navi container, le quali operano con un sistema just-in-time; vi è un solo accesso gestito dalla Russia e dagli USA, e oggi più di prima, capiamo l’importanza di differenziare le dipendenze geopolitiche. Senza contare che l’apertura di tali rotte potrebbe comportare una amplificazione dei rischi di natura ambientale, ad esempio l’eventuale sversamento del petrolio in mare causato da un incidente di una petroliera, e di quelli di natura economica dovuti all’incertezza della lunghezza della stagione navigabile e ai continui e improvvisi cambiamenti del regime del ghiaccio sul mare, nonché ai limiti legati alla batimetria: la zona dell’Artico russo è poco profonda e questa condizione porta all’esclusione dal passaggio di navi cargo di grandi dimensioni e di rompighiaccio a propulsione nucleare”.
Conclude:
“La recente pandemia e la situazione di instabilità geopolitica hanno messo in evidenza la precarietà delle certezze e del sistema su cui si basa la società odierna ma, anche se la rotta artica appare ancora come una scommessa, l’Italia non può rimanere indietro ripetendo errori del passato come è stato nel caso della nostra politica in materia di rigassificatori e il mancato sostegno allo sviluppo della flotta di navi gasiere. È importante che venga dato il giusto ruolo al trasporto marittimo, che è per sua natura flessibile, in quanto la nave consente di diversificare rapidamente i mercati di riferimento”.