Articolo sull’improcedibilità nella riforma Cartabia a cura del Prof. Giorgio Spangher – Professore Emerito di Procedura Penale – Sapienza Università di Roma
Dopo la sua prevedibile approvazione da parte del Senato, magari con un contestuale decreto-legge correttivo, la riforma dovrà affrontare le aule giudiziarie.
Anche se gli effetti della legge sono rinviati a tempi lunghi anche in considerazione dell’introdotto regime transitorio, la possibile prospettazione di alcune questioni non può essere esclusa.
Quasi sicuramente qualche avvocato chiederà che venga riconosciuta l’improcedibilità per un giudizio d’appello (di un reato ante 2017) in ordine al quale erano scaduti i tempi di definizione previsti dalla riforma (ancorché prorogati anche dal regime transitorio). In primo luogo, il giudice dovrebbe decidere se la norma di cui si chiede l’applicazione sia o meno conforme a costituzione in sé, al di là, cioè, di aspetti specifici (legittimazione alle proroghe; tempi ragionevolmente differenziati tra le fattispecie; regime transitorio). Dando per scontato (ma non è necessariamente che lo sia, ovvero che sia solo parzialmente incostituzionale: rimedio compensativo o rinvio al legislatore) che sia conforme a costituzione per giustificare l’operatività.
Si è soliti dire che ci si trova in presenza di norma di diritto processuale a effetto sostanziale e come tale riconducibile all’art. 2 c.p.
Seppur autorevolmente adombrata la tesi suscita qualche riserva.
Invero, fino alla riforma Cartabia il tempo del processo era governato dalla prescrizione; con la riforma Orlando questo scorrere del tempo viene interrotto ma può essere recuperato in relazione agli sviluppi processuali; con la legge n. 3 del 2019, il tempo del processo viene fermato nei suoi effetti.
La riforma cerca di risolvere questo profilo. L’accoglimento della sua operatività al di là delle questioni applicative di non secondario momento, si scontrerebbe con la precisa finalità della norma ora introdotta, ricollegata alla cessazione della prescrizione (art. 161 bis c.p.).
In altri termini, la norma risulta collegata ad una situazione inedita e specifica che vale a differenziarla dalla possibilità di una estensione retroattiva a situazioni diverse e comunque in itinere.
Un discorso differente, ma a tempi più lunghi, dovrebbe farsi in relazione agli aspetti che venissero proposti dopo l’entrata in vigore della legge, ancorché relativi a reati antecedenti al 1.1.2020.
Ora, se si ritiene che questa norma tuteli il diritto dell’imputato alla ragionevole durata del giudizio di gravame (appello, cassazione, rinvio) appare problematico non estenderne l’operatività agli altri giudizi di impugnazioni. Che si tratta di garanzia per l’imputato è confermato dal fatto che l’imputato è l’unico soggetto che può rinunciarvi.
Si consideri altresì, che la previsione prescinde dagli sviluppi nei gradi precedenti; da un lato, opererà quando l’appello sarà stata proposto anche a distanza di tempo dal fatto del 2020, ma opera anche – come previsto espressamente – per un appello già proposto al momento di entrata in vigore della legge, quindi per un appello proposto anche nel 2021 (sempre per un fatto del 2020).
Non appare sorretto da ragionevolezza che tre appelli proposti lo stesso giorno, per lo stesso fatto, godano, per il solo fatto di essere antecedenti alla riforma, di un tempo di durata ragionevole differenziato.
Sarà necessario un intervento della Corte costituzionale per violazione degli artt. 3 e 111 Cost., fatta salva in questo caso l’eventuale operatività dell’art. 2 c.p. (difficile, peraltro). In tal modo si rimedierebbe anche alla criticità di processi per reati 2021 che si possono estinguere rapidamente e processi per reati antecedenti che possono scontare appelli lunghi dopo anni di indagini e in primo grado.
In ogni caso, la nuova norma concorrerebbe con il decorso della prescrizione nei termini legati alla disciplina del tempo del commesso reato e spetterebbe all’imputato, se il tempo della prescrizione fosse più favorevole, rinunciare all’improcedibilità.
a firma di: Prof. Giorgio Spangher – Professore Emerito di Procedura Penale – Sapienza Università di Roma