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STORIE DI MAMME

Storie, Storie di Mamme

STORIE DI MAMME: FLORA

Sono Flora, ho 45 anni e due figli: Lidia di 10 anni e Marco di 5.
Se dovessi pensare a una parola per definirmi come mamma direi che sono una mamma PRECISA, il che non vuol dire che sia perfetta ma sono molto organizzata.
Sono dipendente di un’azienda del settore ICT da 20 anni… in effetti io e mio marito ci siamo proprio conosciuti sul lavoro, e chissà se avrei la famiglia che ho, se avessi fatto un lavoro differente.

LA PRIMA MATERNITÀ

Durante la mia prima maternità ho vissuto momenti di grande sconforto: mentre la mia vita personale veniva sconvolta dal piccolo esserino che mi aveva resa mamma per la prima volta, in ufficio cominciava il periodo più nero della mia vita lavorativa.
Da un lato avevo la necessità di fare la mamma di Lidia, dall’altro di lavorare sia per contribuire alle spese familiari e sia per me stessa che con impegno, fatica e dedizione volevo mantenere il mio posto di lavoro e continuare a essere la lavoratrice apprezzata, di sempre.

Per il primo anno di Lidia ho usufruito prima del congedo obbligatorio che mi spettava: 2 mesi prima del parto e 3 mesi dopo il parto, poi il 4° mese ho utilizzato il congedo facoltativo. Purtroppo, non ho avuto una buona esperienza di allattamento, perciò Lidia è dovuta crescere con latte artificiale e andare al nido a poco più di 5 mesi.

Anche nei giorni di congedo cercavo di restare aggiornata e non perdere il filo del lavoro, spesso lavorando in altri orari tipo quando mia figlia riposava o la sera o la mattina prestissimo o nel weekend quando mio marito era in casa e stava con nostra figlia. In questo modo non ho mai “bucato” i target e ho rispettato tutte le consegne che avevo.

Evidentemente però non era abbastanza o, forse, chi non aveva figli – nel mio team ero l’unica mamma all’epoca – soffriva del fatto che, nonostante tutto, grazie a una certa elasticità mentale dell’organizzazione, riuscissi a portare a termine tutti i compiti e i progetti. Così, da un momento all’altro l’elasticità finì.

Il mio capo, e con lui anche i miei colleghi, iniziarono una lenta e inesorabile azione che non riesco a definire in nessun altro modo se non mobbing. Improvvisamente la maggior parte dei contenuti del mio lavoro venivano svolti da altre persone e mi ritrovavo ad avere sempre meno cose da fare.

IL MOBBING

Tanto per semplificarmi la vita due anni dopo sono anche stata trasferita in una sede molto più lontana da casa e in questa sede nuova mi hanno progressivamente cambiato anche le mansioni – tutto apparentemente a norma, cioè senza violare il contratto di lavoro in corso. In varie occasioni sono stata tentata di lasciare tutto e se non l’ho fatto è stato per ribellarmi al profondo senso di ingiustizia che intravedevo rispetto a questo atteggiamento aziendale.

Mi sono rimboccata le maniche, ho imparato il mio nuovo lavoro e, proprio quando tutto tornava a filare liscio, mentre mia figlia aveva ormai quasi 5 anni, sono rimasta incinta per la seconda volta cosa assolutamente non prevista.

LA SECONDA MATERNITÀ

Questa volta, memore della precedente situazione, ho vissuto la gravidanza in modo davvero orribile, immaginavo di trovarmi nuovamente in grandi difficoltà lavorative alla nascita del secondo, di notte sognavo di affogare, ero sconfortata all’idea di rivivere tutti gli anni di mobbing, e in mezzo al mio sconforto la pancia cresceva.
A differenza della prima gravidanza ho potuto lavorare fino al giorno del parto, che, neanche a farlo apposta è avvenuto di sabato. Questa incredibile casualità mi ha fatto molto riflettere: era come se mio figlio avesse rispettato il mio lavoro. Da lì ho capito che invece ero io che dovevo rispettare lui che era appena nato e tra l’altro sin da subito aveva iniziato un allattamento perfetto.

Dopo il parto ho usufruito dei 5 mesi di maternità obbligatoria e un mese di facoltativa, perché Marco non era pronto a essere svezzato a 5 mesi. Fino al compimento del suo primo anno ho usufruito anche dell’allattamento, almeno formalmente nel senso che avevo l’orario ridotto e, rinunciando alla pausa pranzo, riuscivo a uscire dall’ufficio alle 15:00/16:00 in tempo per riprendere il piccolo dal nido e la grande da scuola e trascorrere con loro quelle 4 ore prima di metterli a dormire. Anche lì dopo averli addormentati o la mattina molto presto ricominciavo a lavorare per altre due ore.

TRATTAMENTI DIVERSI

A differenza di quanto successo con Lidia, il mio capo “nuovo” era molto soddisfatto dei risultati che portavo e non mi ha mai rotto le scatole più di tanto sulla tassatività degli orari, al termine dell’allattamento mi ha concesso addirittura 3 giorni di smart working a settimana…

Non riuscivo a crederci e a dirla tutta mi sembra tutt’oggi troppo bello per essere vero, eppure lo è, ma non dovrebbe essere un’eccezione; invece, lo è dal momento che ho constatato sulla mia pelle che, nella stessa azienda, possono coesistere trattamenti così diversi rivolti alla stessa persona e per lo stesso tipo di evento (nel caso specifico la maternità).

GIORNATA TIPO

La nostra giornata tipo è variabile: quando devo andare in presenza mi sveglio alle 6 ed esco di casa alle 7, dopo aver predisposto colazioni, merende e zaini. In quel caso mio marito porta i figli a scuola e i nonni che per fortuna sono molto attivi e disponibili, li vanno a riprendere e li portano a casa o alle attività. Io li raggiungo verso le 18/18:30 quindi facciamo i “bagnetti”, cena e nanna.

Quando sono in smart è tutta un’altra musica: mi sveglio sempre alle 6 e lavoro fino alle 7:15, sveglio, preparo ed accompagno i figli a scuola, alle 8:30 torno a lavorare e alle 16 vado a riprendere i miei cuccioli, li porto a casa o al parco o alle attività, verso le 19 bagnetti e cena poi a nanna entro le 21. Spesso, subito dopo, torno a lavorare al pc per una o due ore.

Inutile parlare della casa… non c’è il tempo di star dietro a tutto, perciò, due giorni a settimana viene qualcuno a pulirla, per fortuna almeno io e mio marito siamo ordinati e molto collaborativi, e nei momenti di caos utilizziamo i weekend per sistemare.

IL PUNTO DI VISTA DELL’HR

La maternità è il momento di cura per eccellenza: investire nel supporto alle persone in rientro sul posto di lavoro dopo la genitorialità ha creato un aumento del coinvolgimento, della produttività, dell’attaccamento all’organizzazione.

Ripensare ai processi lavorativi e organizzativi gestendo correttamente obiettivi e tempistiche crea valore in azienda: questo è un cambiamento culturale prima che operativo che investe l’azienda a tutti i livelli.

In questo scenario lo smart working lascia spazio alle persone permettendo quella flessibilità di orario, di organizzazione del lavoro, benessere, conciliazione lavoro-vita personale; questo è ancora più vero e sentito al rientro da un periodo di assenza dal lavoro dopo la genitorialità ma dev’essere considerata un’esigenza di tutti per costruire vite più sostenibili. Terminato lo stato di emergenza del lockdown, lo smartworking diventa, quindi, uno strumento di rilevazione dello stato di salute dell’ambiente lavorativo e di quanta cultura del lavoro venga generata in azienda non solo in termini di “digital transformation” ma anche di soft skill perché un genitore/lavoratore che ha più tempo da trascorrere in famiglia sviluppa e affina sicuramente una leadership che poi riversa nel suo lavoro.

NOTE

Vi ricordiamo che la presente storia – come tutte quelle che pubblicheremo nella rubrica Storie di Mamme – è un contributo “anonimo”, pertanto i nomi utilizzati sono frutto di fantasia, come anche anonimo resterà il nome del consulente HR che si occupa di fornire per ogni storia, spunti di riflessione professionali.

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