Da diversi mesi oramai si sono accesi i riflettori sulla necessaria “innovazione” del sistema penitenziario italiano. Come promesso durante la visita effettuata con Mario Draghi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, il Ministro della Giustizia Marta Cartabia ha nominato, nel settembre scorso, una commissione ad hoc con il preciso compito di rinnovare quel regolamento penitenziario in vigore ormai da oltre venti anni. Come si legge nel decreto con il quale è stata istituita, la Commissione, presieduta dal Professor Marco Ruotolo, docente di diritto Costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Roma Tre, dovrà rilevare:
“le principali criticità relative all’esecuzione della pena detentiva e individuare i possibili interventi per migliorare la qualità della vita delle persone recluse e di coloro che operano all’interno degli istituti penitenziari, nella prospettiva del compiuto rafforzamento dei principi costituzionali e degli standard internazionali”.
Quella dell’emergenza carceri è una questione annosa e attuale, dunque, che porta con sé alcuni quesiti:
- come si vive negli istituti di pena?
- Quali diritti sono riconosciuti ai detenuti?
LIMITAZIONE DELLA LIBERTÀ
La sanzione detentiva, comporta una limitazione e non una privazione dei diritti di libertà. Anche durante l’esecuzione di una misura limitativa della libertà, la dignità della persona dev’essere protetta. Tuttavia, l’ultimo rapporto dell’Associazione Antigone – nata alla fine degli anni ottanta “per i diritti e le garanzie nel sistema penale” – parla chiaro: nel 47,7% degli Istituti Penitenziari visitati nel corso del 2020, vi sono celle senza doccia; nel 38,6% vi sono celle con schermature alle finestre che non favoriscono l’ingresso di luce naturale; nel 77,3% dei casi non è prevista una separazione dei giovani adulti (meno di venticinque anni) dai detenuti più grandi; nel 79,5% degli istituti non c’è uno spazio destinato ai detenuti e gli internati di culto non cattolico.
BON’T WORRY
Negli ultimi anni molte sono le associazioni nate con l’intento di segnalare i diritti umani violati nelle carceri italiane. Una di queste è senza dubbio l’Associazione bon’t worry che sin dalla sua nascita nel 2015, lotta contro la violenza di genere, contro la violenza sulle donne e sui bambini e si impegna a denunciare le violazioni che avvengono all’interno dei contesti carcerari.
I detenuti della Casa Circondariale di Vicenza, in particolare, si legge nel sito web della bon’t worry, hanno avviato una fitta corrispondenza con la associazione proprio per lamentare una diffusa condizione di sofferenza fisica e psicologica. Lettere, richieste di aiuto e poesie, come quella ricevuta da Angelo M. che, “in un intimo dialogo con il sé riflesso nello specchio, medita sul suo passato, sulle sue azioni e sente l’inesorabilità del tempo che passa. Nel pensiero che oscilla tra ciò che è stato e ciò che avrebbe potuto essere, si fa strada la consapevolezza che indietro non si torna e che l’unica direzione possibile è in avanti”. Per approfondire cliccate qui.
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